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Abruzzo Insieme: No ai dazi, No al riarmo. Un doppio attacco alla Costituzione

14 luglio 2025 - 12:25

(ACRA) - "L’aumento unilaterale dei dazi fino al 30% deciso da Donald Trump contro l’Unione Europea rappresenta un colpo durissimo per l’economia abruzzese, italiana ed europea. È una misura che colpisce in pieno le esportazioni strategiche del nostro Paese — dall’agroalimentare, farmaceutica alla meccanica — e rischia di mettere in ginocchio interi settori produttivi, con ricadute drammatiche sul PIL, sull’occupazione e sulla tenuta sociale. A fronte di questa escalation commerciale, il governo italiano e la presidentessa del Consiglio Giorgia Meloni restano in un silenzio assordante nonostante la sua ventilata vicinanza al presidente Trump. Nessuna presa di posizione forte in difesa dell’interesse nazionale, nessuna richiesta di risposta unitaria da parte dell’Europa. Questo silenzio politico è irresponsabile e incomprensibile, soprattutto in un momento in cui l’Italia avrebbe bisogno di una voce chiara a tutela della propria economia e dei propri lavoratori. Ma non basta. A questa minaccia economica si aggiunge una seconda pressione di natura militare: Donald Trump, nel contesto Nato, impone ai Paesi membri un aumento drastico delle spese militari fino al 5% del PIL. Per l’Italia, ciò significherebbe oltre 90 miliardi di euro all’anno destinati ad armamenti e strutture militari, sottratti a sanità, scuola, ricerca, protezione civile e giustizia sociale. Mentre si destinano risorse crescenti agli armamenti, milioni di italiani rinunciano alle cure per l’impossibilità di accedere al sistema sanitario pubblico. Le liste d’attesa superano i 600 giorni, il personale sanitario è insufficiente, e sempre più prestazioni essenziali sono accessibili solo a pagamento. Le scuole faticano a garantire strutture sicure e programmi inclusivi, mentre la ricerca scientifica è sottofinanziata e perde costantemente capitale umano. I giovani laureati continuano ad abbandonare il Paese in cerca di opportunità che l’Italia non offre più, alimentando una fuga dei cervelli che impoverisce il tessuto economico, culturale e produttivo del Paese. Le forze dell’ordine, i Vigili del Fuoco, la polizia penitenziaria e il personale della sicurezza civile operano con organici sotto il minimo, infrastrutture obsolete e risorse insufficienti. Le carceri italiane sono sovraffollate, con gravi conseguenze anche sul piano dei diritti umani, della sicurezza e della funzione rieducativa della pena. Una spesa di proporzioni così enormi dovrebbe essere utilizzata per rafforzare il nostro Stato sociale: potenziare la sanità, garantire scuole pubbliche di qualità, rilanciare l’università e la ricerca, offrire ai giovani prospettive per restare in Italia, investire nella sicurezza civile, nella prevenzione, nella giustizia sociale, nei servizi di prossimità. Questo sarebbe l’investimento per un’Italia più giusta, più sicura, più sana e più moderna. Questa corsa al riarmo segna una rottura storica. Per oltre 70 anni, il disarmo e la cooperazione internazionale hanno garantito la più lunga stagione di pace in Europa. Si lavorava per la non proliferazione delle armi nucleari, per la riduzione delle spese militari, per la prevenzione dei conflitti. Oggi stiamo invertendo questa rotta: riarmiamo il mondo, e tagliamo diritti. È una scelta che contraddice apertamente i principi della nostra Costituzione. L’articolo 11 afferma con chiarezza che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Eppure, si spingono investimenti miliardari per armamenti da guerra, non per missioni civili o umanitarie, né per la difesa del territorio in senso sociale. La spesa militare non può essere usata come leva per garantire la protezione civile o il soccorso pubblico. È spesa finalizzata al conflitto, non alla cura. In un Paese dove migliaia di persone attendono un letto in ospedale, dove le scuole cadono a pezzi, dove i giovani ricercatori fuggono all’estero, dove la sicurezza civile è lasciata senza mezzi, questa escalation militare ed economica è inaccettabile. Questa non è solo una scelta strategica: è una scelta etica. Siamo di fronte a un bivio: decidere se vogliamo uno Stato che investe nella cura, nella dignità e nella pace, o uno che preferisce un futuro sempre più armato, diseguale e insicuro. È urgente aprire un dibattito pubblico. Non possiamo permettere che, nel silenzio, l’Italia cambi la propria identità. La pace non è solo assenza di guerra: è ospedali aperti, scuole accessibili, salari dignitosi, ricerca finanziata, giustizia garantita, sicurezza costruita sul rispetto e sulla prevenzione. È tempo di dirlo chiaramente: No al riarmo. No ai dazi. Sì a un’Italia che investe nelle persone, nella conoscenza, nella giustizia e nella vita". Così in una nota i consiglieri regionali di Abruzzo Insieme Giovanni Cavallari e Vincenzo Menna. (com/red) 

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